Fondo per la non autosufficienza, troppe interpretazioni sul territorio

Fondo per la non autosufficienza, troppe interpretazioni sul territorio

Sanitadomani.com – MILANO: Quando la burocrazia si complica, le richieste dei cittadini diventano una odissea. Capita anche per il Fondo per la non autosufficienza della Lombardia, la cui interpretazione nei diversi distretti territoriali rende talvolta l’accesso al contributo una sfida da superare.

Nel 2006, il Governo ha istituito il Fondo in questione per sostenere le persone con disabilità o patologie tali da necessitare di assistenza continua. Scopo del contributo è quello di concorrere al pagamento degli assistenti o di fornire contributi ai caregiver; il fine ultimo, permettere alla persona disabile di rimanere a casa ed evitare un istituto, qualora la famiglia non riesca a rispondere alle sue esigenze.

Obiettivi nobile, che però vengono in parte inficiati dal percorso burocratico. Fra modelli, richieste e barriere Irpef, l’accesso al Fondo è spesso difficile. Tra gli ostacoli, la classificazione in due categoria, B1 e B2, basate sulla gravità della situazione fisica; ognuna dà accesso a un contributo diverso.

Per condividere la loro esperienza, sperando possa essere di spunto per il futuro, tre cittadini Lombardia ci hanno raccontato la loro storia.

Maurizio: “Con 142 euro in più di Isee perdi tutto”

Maurizio Ballarino vive a Milano, con i due figli e sua moglie, che ha la Sma. L’anno scorso si è trovato, di colpo, a non avere più accesso al contributo.

“Una delle cose che più ci lascia perplessi, di questa norma, è l’assenza di scaglioni Isee. Lo scorso anno mia moglie aveva accesso alla categoria B2; il nostro Isee era al di sotto dei 25mila previsti, e quindi abbiamo percepito l’assegno. La somma era di circa 800 euro, che ci permetteva di pagare almeno in parte l’assistente di mia moglie. Quest’anno, l’Isee è salito a 25143, e per 143 euro non avevamo diritto più a nulla. E’ un problema, e non solo per noi. Se non avessimo trovato soluzioni, il rischio era di non poter rinnovare il contratto all’assistente, ovvero di lasciare una persona senza lavoro”.

La situazione si è risolta diversamente, quando la moglie di Maurizio ha avuto accesso alla categoria B1. “La divisione in categorie non è chiarissima. Si basa sulla scala MRC – medical research council – che divide in categorie la forza muscolare di una persona disabile. Ma sono parametri rigidi, difficili da applicare. Per quest’anno, la valutazione di mia moglie ci ha permesso di accedere alla categoria B1, quella delle disabilità gravissime. E’ grazie a questo, che abbiamo potuto avere il contributo. In questo caso, infatti, l’Isee richiesto è di 50mila euro. Anche qui, però, trovo assurdo che non ci siano scaglioni, considerando che la soglia è davvero molto alta. Questa scelta è incomprensibile”.

 

Sonia: “Con patologie uguali si rischia di avere punteggi, e contributi, diversi”

Sonia Veres il Fondo per la non autosufficienza lo ha studiato bene. Ne ha scritto un approfondimento anche sul suo blog Mamma a bordo, dove racconta cosa significa essere madre con la Sma. Di nuovo, sottolinea la difficoltà di rispondere ai parametri per accedere al fondo B1. “La scala MRC è stata ideata a inizio del 1900, e rivista per le Paraolimpiadi del 2012; è ovvio che è complicata adeguarla a patologie neuromuscolari degenerative. Inoltre, nella stessa categoria rientrano anziani 60enne che perdono l’autosufficienza per l’età, e disabili tra i 18 e i 64 anni. Due mondi differenti, considerati allo stesso modo”.

Sonia ha avuto accesso al contributo B2 fino all’anno scorso, nonostante abbia bisogno di assistenza continua. Quest’anno ha ottenuto, come è suo diritto sulla base dei documenti presentati, ad accedere alla B1; è riuscita grazie all’intervento di un avvocato a cui si è rivolta, mentre l’amministrazione comunale e il distretto hanno fatto perdere tempo alla associazione Ledha che ha cercato di mediare. Ma denuncia la diversità di trattamento fra i diversi territori. “Il problema è che ogni distretto da a sé. Chi dà un contributo per gli assistenti, chi ai caregiver se non lavorano, chi nemmeno li considera questi ultimi. Spesso poi, per accedere ai contributi, devi avere una situazione ai limiti della  povertà. Un disabile che lavora non è considerato, tantomeno se diventa genitore, come ho fatto io. Semplicemente, una cosa simile non è prevista”.

Cristina: “Non ottengo contributo per i cargiver perché mi assiste un genitore”

Cristina Lavizzari è avvocato, e sa come gestire la burocrazia. Eppure anche lei si è scontrata con l’accesso al Fondo per la non autosufficienza. Anche Cristina ha la Sma, e ha accesso alla misura B1; ha anche supportato Sonia Veres in questo passaggio. “Il contributo, per la mia situazione personale, si traduce in un assegno da 600 euro mensili più 300 per l’assistente. L’anno scorso però i 300 euro non mi sono stati riconosciuti, perché io non ho assunto un assistente, ma mia mamma mi segue come caregiver. Il risultato è che rivolgersi a un familiare sembra sia motivo per perdere il diritto al contributo per l’assistenza, nonostante la normativa lo preveda”.

Ma far applicare la legge alla lettera è il lavoro di Cristina, che quindi al rinnovo della richiesta, ad aprile di quest’anno, ha ottenuto di accedere all’intero contributo. “Questo almeno è quello che avrebbe dovuto succedere in teoria. Nella pratica, il versamento è stato ancora di soli 600 euro. Ho ricontattato l’ufficio, scoprendo che l’impiegato con cui avevo contatti non c’è più, quindi ho dovuto ricominciare il discorso con un’altra persona. Sono tutte situazioni da gestire, e non sempre è facile. Io ho una preparazione professionale che mi aiuta a far valere le mie ragioni. Ma posso solo immaginare quanta fatica facciano gli altri e soprattutto quanti, spesso, cedano”.

Le richieste per il futuro

Le disavventura nella richiesta del Fondo per la non autosufficienza spinge i protagonisti a fare richieste per il futuro; la speranza è che gli amministratori ne tengano conto. “Ogni disabilità è a sé – spiega ancora Sonia Veres – Chiediamo che gli addetti ai lavori rivalutino ogni piano a livello individuale, perché non è possibile mettere tutto nello stesso calderone”. Il modello potrebbe essere quello che si usa in altri Paesi Europei; una commissione di tecnici e medici valutano ogni situazione, ed erogano i contributi a seconda delle esigenze personali.

“Se non hai nutrizione o ventilazione assistita difficilissimo arrivare a B1. Ma siamo in tanti a non essere autonomi in quasi tutte le mansioni quotidiane, anche in assenza di tali ausili. Non può essere motivo sufficiente per essere esclusi dal fondo”.

 

 

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